Tribunale di Genova, ord. 28 febbraio 2018
"La situazione del ricorrente, così come ricostruita, permette, tuttavia, il riconoscimento del diritto alla protezione per motivi umanitari. Va premesso che l’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 non definisce i “seri” motivi di carattere umanitario che possono impedire il rientro del richiedente nel suo paese di origine e che gli stessi vengono generalmente ricondotti a significativi fattori soggettivi di vulnerabilità (ad es. particolari motivi di salute o ragioni di età) ovvero a fattori oggettivi di vulnerabilità, che possono essere legati a guerre civili, a rivolgimenti violenti di regime, a catastrofi naturali, a rischi di tortura o di trattamenti degradanti ed altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, a traumi subiti in patria o durante il viaggio, di cui egli risenta le conseguenze.
Sui fattori di vulnerabilità soggettiva riscontrati nel caso di specie, si rileva che il richiedente, è partito ancora minorenne, ha intrapreso un percorso di integrazione sociale e culturale frequentando con successo la scuola, dopo avere superato il livello A2 di lingua; inoltre manca dal suo paese da cinque anni. Infine, deve essere ricordato che è arrivato in Libia, dove è rimasto per ben 2 anni e dove quindi verosimilmente si sarebbe fermato se la situazione fosse stata diversa; qui invece è stato sequestrato ed imprigionato venendo liberato solo dietro congruo pagamento della madre, patendo trattamenti brutali tipicamente riservati agli immigrati, soprattutto se provenienti dall’Africa subsahariana. Nel caso in esame, occorre dire che, mentre il racconto del richiedente relativo ai motivi persecutori dell’uscita dalla Nigeria appare non provato per i motivi già evidenziati, il Collegio non ha alcun motivo di dubitare delle dichiarazioni relative alla vita in Libia ed alle circostanze che lo hanno portato ad uscire anche da tale Paese, con un narrato – per quanto sintetico –coerente, credibile, e pienamente in linea con le informazioni consultate sulla Libia e che è quindi da ritenersi veritiero ai sensi dell’art. 3 comma 5 d.lgs. 251/2007. A questo proposito, si osserva che sussiste in tale Paese, sin dal 2011, una situazione di “violenza indiscriminata” derivante da conflitto armato, dato che le rivolte insorte in Libia, dopo la caduta del regime del colonello Gheddafi, si sono subito trasformate in un conflitto armato, tuttora perdurante, che vede scontrarsi le milizie, i molteplici gruppi armati di matrice islamica presenti nel Paese e le bande criminali che operano soprattutto nelle zone di transito. Da ultimo appare emblematico il recente sequestro ed efferato omicidio del sindaco di Misurata. Quanto al trattamento violento subito dagli stranieri in transito dalla Libia, in particolare provenienti dall’Africa Subsahariana, la notizia trova un’ulteriore recente conferma nella dichiarazioni rese dal Procuratore della Corte Penale Internazionale all'ONU dell’8/5/2017, secondo cui la Corte penale ha l’intenzione di aprire un’inchiesta ufficiale sulle violenze subite dai migranti in Libia, in quanto sono pervenute da fonti diverse testimonianze di migranti sfruttati, schiavizzati, picchiati o molestati sessualmente (Cfr.: Rapporto 2016/2017 di Amnesty International ove fra l’altro si legge : “Sia le forze affiliate ai due governi rivali sia le milizie e altri gruppi armati hanno commesso nell’impunità gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani. Tutte le parti in conflitto hanno compiuto attacchi indiscriminati e colpito deliberatamente i civili, costringendo migliaia di persone allo sfollamento interno e provocando una crisi umanitaria. Migliaia di detenuti sono rimasti reclusi senza processo, in assenza di un sistema giudiziario funzionante e in un contesto in cui la tortura e altri maltrattamenti erano diffusi. I gruppi armati, compreso l’autoproclamato Stato islamico (Islamic State – Is), hanno rapito, detenuto e ucciso civili e hanno gravemente limitato i diritti alla libertà d’espressione e di riunione” (https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/medio-oriente-africa-del-nord/libia/; ancora il citato Rapporto 2016/2017 di Amnesty International: “Rifugiati e migranti sono stati vittime di gravi abusi da parte di gruppi armati, contrabbandieri e trafficanti di esseri umani, oltre che delle guardie dei centri di detenzione amministrati dalle autorità governative. (…) La legislazione libica continuava a considerare un reato l’ingresso, l’abbandono o la permanenza irregolare nel paese da parte di cittadini stranieri. Molti migranti irregolari, o sospettati di esserlo, e richiedenti asilo sono stati prelevati ai posti di blocco e nel corso d’irruzioni all’interno di abitazioni o sono stati denunciati alle autorità dai loro datori di lavoro. Migliaia sono rimasti trattenuti presso le strutture del dipartimento per la lotta alla migrazione irregolare (Department for Combating Irregular Migration – Dcim), in stato di detenzione indefinita in attesa dell’espulsione. Sebbene queste strutture dipendessero ufficialmente dal ministero dell’Interno, erano spesso gestite dai gruppi armati che operavano al di fuori dell’effettivo controllo del Gna. In queste strutture erano tenuti in condizioni squallide e sottoposti a tortura e altri maltrattamenti da parte delle guardie, compresi pestaggi, sparatorie, sfruttamento e violenza sessuale”; Refugees International, "Hell on Earth": Abuses Against Refugees and Migrants Trying to Reach Europe from Libya, June 2017, available at: http://www.refwoorld.org/docid/593010cc0.html [accessed 8 July 2017], con riferirmento anche ai racconti relativi al Gruppo Asma Boys. https://www.icc-cpi.int/Pages/item.aspx?name=170509-otp-stat-lib).
In relazione poi ai fattori oggettivi di vulnerabilità, considerata la particolarmente giovane età del ricorrente, assume rilevanza anche la situazione di violazione dei diritti in Nigeria, confermata dagli ultimi report richiamati ed anche da Amnesty International. Si deve poi tenere conto della situazione della sicurezza della regione, prevalentemente dominata dal conflitto del Delta del Niger, produttori di petrolio, dove la popolazione locale non beneficia del reddito dell’industria petrolifera. Dagli anni ’90 numerosi gruppi armati, molti dei quali con stretti legami con i culti dei campus universitari, sono stati coinvolti in crimini come il sequestro e il bunkering petrolifero e hanno creato molti disordini nella regione. Allo scopo di creare stabilità nella regione, il governo federale già nel 2003 ha inviato una forza di sicurezza, la cosiddetta Joint Task Force (JTF), guidata dall’esercito, ma anche dagli ufficiali della marina e dalla polizia mobile paramilitare (MOPOL). Tuttavia, è stato riferito che i membri della JTF si sono presto impegnati nell’attività lucrativa di bunkering petrolifero e nell’ottenimento di lucrosi contratti per garantire la sicurezza delle compagnie petrolifere. Di conseguenza, la violenza e l’insicurezza sono aumentate anziché diminuire. Oltre alla violenza petrolifera, esiste anche un’altra violenza armata nella regione. Ad esempio, è stato segnalato che nello Stato di Edo personalità politiche hanno fornito armi ai giovani per spingerli alla violenza politica. Queste armi non sono state raccolte dopo le elezioni e sono state utilizzate in attività criminali come sequestri, omicidi, rapine a mano armata, uccisione degli agenti di polizia e assassini politici (cfr.: il bunkering petrolifero è il processo di hacking in tubazioni, seguito dalla raffinatura o dalla vendita su un mercato parallelo; Asuni, J.B., Understanding the Armed Groups in the Niger Delta, September 2009; questo tipo di violenza non è una prerogativa dello Stato di Edo, ma un modello comune della politica nigeriana, secondo Cohen et al., ‘Structuration régionale et déterminants ethnoreligieux de la violence politique au Nigeria’, 2016, pag. 45; Smith, D.J., A Culture of Corruption, 2007, pagg. 121-125; Pérouse de Montclos, M.A. Boko Haram: Islamism, politics, security and the state in Nigeria, 2014; AOAV, The Violent Road, 12 December 2013).
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