"I conflitti familiari vissuti nel Paese di origine, le drammatiche vicende vissute nel deserto e, poi, le violenze subite in Libia, oltre al buon percorso di integrazione giustificano la protezione umanitaria"

Tribunale di Genova, ord. 28 febbraio 2018

"Ciò posto, nel caso in esame, occorre tenere conto:


- dei motivi di uscita dal Paese. Il richiedente si trova, come molti suoi coetanei provenienti dall’Africa, in una fase di passaggio tra culture che genera fortissimi conflitti con la propria famiglia e con l’ambiente sociale di origine: egli, pur fortemente convinto che le pratiche religiose e rituali tradizionali siano in grado di avere effetti materiali e concreti sulla vita di coloro che vi si rivolgono (quali la guarigione da una malattia, o un benessere economico; oppure, al contrario, una malattia o la morte di colui che non rispetti le prescrizioni dello sciamano e degli spiriti invocati), sente forte la spinta verso la cultura contemporanea di matrice occidentale, ad essa estranea. Nel suo caso, poi, egli dovrebbe essere addirittura l’erede dell’autorità sacerdotale: un compito che non è in grado di sostenere. Questo suo rifiuto è inconciliabile – indipendentemente dalla veridicità dei gravi pericoli paventati – con la sua permanenza nel contesto di origine se non nella condizione di persona esclusa e disprezzata dalla famiglia e dall’intero villaggio.
Un rientro in quell’ambiente appare quasi insostenibile, in evidente conflitto con principi di carattere umanitario.
- dei motivi di uscita dal Paese. Il richiedente si trova, come molti suoi coetanei provenienti dall’Africa, in un passaggio tra culture che genera fortissimi conflitti con la propria famiglia e con l’ambiente sociale di origine: egli, pur fortemente convinto che le pratiche religiose e rituali tradizionali siano in grado di avere effetti materiali e concreti sulla vita propria e di coloro che vi si rivolgono (quali la guarigione da una malattia, o un benessere economico; oppure, al contrario, una malattia o la morte di colui che non rispetti le prescrizioni dello sciamano e degli spiriti invocati), sente forte la spinta verso un altro tipo di cultura che da quelle si distacca. Nel suo caso, poi, egli dovrebbe essere addirittura colui che succede all’autorità sacerdotale, ed è un compito che non è in grado di sostenere. Questo rifiuto rende inevitabile – se non i gravi pericoli paventati – l’impossibilità per lui di rimanere in quel contesto e quindi, specularmente, la condizione di persona esclusa e disprezzata dalla famiglia e dal villaggio di origine.
Un rientro in quell’ambiente appare quasi insostenibile e si pone in evidente conflitto con principi di carattere umanitario.
- delle drammatiche vicende vissute prima nel deserto (dove suo cugino perde la vita)e poi in Libia, dove viene imprigionato, picchiato, trattato brutalmente e poi, una volta libero e messa da parte una notevole somma (parla di 6.300 dinari), torturato e rapinato.
Si osserva in proposito, quanto al trattamento violento subito dagli stranieri in transito dalla Libia, che la notizia - già nota1 – trova un’ulteriore conferma nella dichiarazioni rese dal Procuratore della Corte Penale Internazionale all'ONU dell’8/5/2017, secondo cui la Corte penale ha l’intenzione di aprire un’inchiesta ufficiale sulle violenze subite dai migranti in Libia, in quanto sono pervenute da fonti diverse testimonianze di migranti sfruttati, schiavizzati, picchiati o molestati sessualmente2.
- del buon percorso di integrazione nel nostro Paese: sta studiano la lingua italiana, di cui in udienza ha dimostrato una discreta comprensione; ha inoltre un contratto di lavoro con la cooperativa di accoglienza, xxxxx, seppur a tempo determinato, ma più volte prorogato.
Le circostanze di cui sopra concretizzano una situazione che - valutata unitamente all’assenza di motivi pericolosità sociale del richiedente sulla base degli atti (nessun precedente penale, né carichi pendenti presso la Procura di Genova; nessun precedente di polizia)- dà diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98."

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