Tribunale di Genova, provvedimento 5 settembre 2018
" La situazione del ricorrente, così come ricostruita, permette, tuttavia, il riconoscimento del diritto alla protezione per motivi umanitari.
Dalla narrazione del vissuto – giovanissima età, provenienza da Stato caratterizzato da una forte criminalità comune e da inadeguatezze del sistema di sicurezza, successive vicende violente vissute in Libia – dalla disamina di quanto documentato – impegno nelle attività proposte a titolo di volontariato di cui agli attestati di speciale stima nella relazione prodotta, l’impegno nell’apprendimento della lingua riscontrato in udienza, l’impegno lavorativo – emergono elementi per ritenere sussistente in capo al ricorrente una situazione di vulnerabilità effettiva. Sussiste invero l’ obiettiva speranza di una evoluzione in melius con un permesso per motivi di lavoro, che, unitamente al vissuto violento in Libia, al tempo ormai trascorso dalla partenza ed alle condizioni di grave insicurezza del paese di origine ed alla giovane età espongo il ricorrente ad un grave danno in caso di rimpatrio forzato (cfr:Cass., ord. 7 luglio 2014, n. 15466; Cass. 19 febbraio 2015, n. 3347, cass.civ.sez.I 4455/18, Cass. 6879 del 2011; 4139 del 2011; 24544 del 2011; Cass. ord. 23 maggio 2013, n. 12751).
Come è noto le situazioni di vulnerabilità che possono dar luogo alla richiesta di rilascio di un permesso per motivi umanitari costituiscono un catalogo aperto (Cass., 27 novembre 2013, n. 26566), che può comprendere situazioni soggettive, quali per esempio motivi di salute, di età, familiari, ma anche situazioni oggettive (cioè relative al paese di provenienza), quali una grave instabilità politica, episodi di violenza o insufficiente rispetto dei diritti umani, carestie, disastri naturali o ambientali o altre situazioni similari. L’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 infatti non definisce i “seri” motivi di carattere umanitario che possono impedire il rientro del richiedente nel suo paese di origine e che gli stessi vengono generalmente ricondotti a significativi fattori soggettivi di vulnerabilità (ad es. particolari motivi di salute o ragioni di età) ovvero a fattori oggettivi di vulnerabilità, che possono essere legati a guerre civili, a rivolgimenti violenti di regime, a catastrofi naturali, a rischi di tortura o di trattamenti degradanti ed altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, a traumi subiti in patria o durante il viaggio, di cui egli risenta le conseguenze.
Ed allora. Si rinvengono profili di vulnerabilità soggettiva nel percorso di integrazione sociale iniziato da alcuni anni con buona soddisfazione personale, con partecipazione alle numerose attività proposte seppure in gran parte a titolo di volontariato, con l’impegno nell’apprendimento della lingua e nel conseguimento della licenza media ed infine nei corsi di formazione professionale attività tutte che comprovano l’eccellente capacità di apprendimento ed adattamento. Inoltre il ricorrente è arrivato in Libia, dove verosimilmente si sarebbe fermato più a lungo se la situazione fosse stata diversa; qui invece stato imprigionato più volte, è stato picchiato ed ha vissuto in semi-schiavitù e, per l’evidente pericolosità del luogo data anche dalla guerra, se ne è dovuto andare. Invero sussiste in tale Paese, sin dal 2011, una situazione di “violenza indiscriminata” derivante da conflitto armato, dato che le rivolte insorte in Libia, dopo la caduta del regime del colonello Gheddafi, si sono subito trasformate in un conflitto armato, tuttora perdurante, che vede scontrarsi le milizie, i molteplici gruppi armati di matrice islamica presenti nel Paese e le bande criminali che operano soprattutto nelle zone di transito. Da ultimo appare emblematico il recente sequestro ed efferato omicidio del sindaco di Misurata. Quanto al trattamento violento subito dagli stranieri in transito dalla Libia, in particolare provenienti dall’Africa Subsahariana, la notizia trova un’ulteriore recente conferma nella dichiarazioni rese dal Procuratore della Corte Penale Internazionale all'ONU dell’8/5/2017, secondo cui la Corte penale ha l’intenzione di aprire un’inchiesta ufficiale sulle violenze subite dai migranti in Libia, in quanto sono pervenute da fonti diverse testimonianze di migranti sfruttati, schiavizzati, picchiati o molestati sessualmente (Cfr.: Rapporto 2016/2017 di Amnesty International ove fra l’altro si legge : “Sia le forze affiliate ai due governi rivali sia le milizie e altri gruppi armati hanno commesso nell’impunità gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani. Tutte le parti in conflitto hanno compiuto attacchi indiscriminati e colpito deliberatamente i civili, costringendo migliaia di persone allo sfollamento interno e provocando una crisi umanitaria. Migliaia di detenuti sono rimasti reclusi senza processo, in assenza di un sistema giudiziario funzionante e in un contesto in cui la tortura e altri maltrattamenti erano diffusi. I gruppi armati, compreso l’autoproclamato Stato islamico (Islamic State – Is), hanno rapito, detenuto e ucciso civili e hanno gravemente limitato i diritti alla libertà d’espressione e di riunione” (https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/medio-oriente-africadel-nord/libia/; ancora il citato Rapporto 2016/2017 di Amnesty International: “Rifugiati e migranti sono stati vittime di gravi abusi da parte di gruppi armati, contrabbandieri e trafficanti di esseri umani, oltre che delle guardie dei centri di detenzione amministrati dalle autorità governative. (…) La legislazione libica continuava a considerare un reato l’ingresso, l’abbandono o la permanenza irregolare nel paese da parte di cittadini stranieri. Molti migranti irregolari, o sospettati di esserlo, e richiedenti asilo sono stati prelevati ai posti di blocco e nel corso d’irruzioni all’interno di abitazioni o sono stati denunciati alle autorità dai loro datori di lavoro. Migliaia sono rimasti trattenuti presso le strutture del dipartimento per la lotta alla migrazione irregolare (Department for Combating Irregular Migration – Dcim), in stato di detenzione indefinita in attesa dell’espulsione. Sebbene queste strutture dipendessero ufficialmente dal ministero dell’Interno, erano spesso gestite dai gruppi armati che operavano al di fuori dell’effettivo controllo del Gna. In queste strutture erano tenuti in condizioni squallide e sottoposti a tortura e altri maltrattamenti da parte delle guardie, compresi pestaggi, sparatorie, sfruttamento e violenza sessuale”; Refugees International, "Hell on Earth": Abuses Against Refugees and Migrants Trying to Reach Europe from Libya, June 2017, available at: http://www.refwoorld.org/docid/593010cc0.html [accessed 8 July 2017], con riferirmento anche ai racconti relativi al Gruppo Asma Boys. https://www.icccpi.int/Pages/item.aspx?name=170509-otp-stat-lib).
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