Tribunale di Genova 30 gennaio 2020
Ciò posto, il Collegio non concorda con le motivazioni del provvedimento impugnato e reputa il racconto del richiedente dettagliato, vivo, pienamente plausibile; egli spiega con coerenza l’origine ed i motivi del contrasto tra le due etnie e ne descrive con efficacia l’inimicizia;
il racconto è credibile anche alla luce dei chiarimenti dati in udienza, che spiegano perché egli non sappia descrivere - oltre a quella in cui vi furono 5 morti e quelle in cui vi furono 7 feriti - altre liti avvenute nel suo villaggio tra i bambarà ed i minianka, nonostante affermi che vi fosse tra i due gruppi un’inimicizia risalente, con frequenti litigi.
Deve pertanto ritenersi che il richiedente abbia assolto l’onere postogli dall’art 3 comma 5 d.lgs. 251/2007 (ovvero: “a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”). Pertanto, ai sensi della medesima disposizione, il racconto deve reputarsi veritiero.
Konate ha dato inoltre una valida giustificazione del motivo per il quale non si è avvalso della protezione statale, vivendo in un piccolo villaggio lontano da qualsiasi ufficio di polizia in grado di intervenire.
5. Protezione accordabile. Il richiedente, in caso di rientro nella propria area di provenienza, è soggetto al concreto pericolo di essere ucciso o di subire comunque gravi lesioni ad opera degli abitanti del suo villaggio appartenenti alla etnia minianka, i quali tra l’altro – non avendo egli più avuto contatti con i familiari essendo il villaggio sprovvisto di linea telefonica e di luce elettrica – potrebbero anche avere preso il potere nella zona. Benché la vicenda attenga ad uno scontro tra etnie, non si ritiene che il pericolo patito integri gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto lo stesso non riguarda il richiedente semplicemente quale appartenente all’etnia bambara, ma solo lui, personalmente, in qualità di figlio e discendente del deposto capo villaggio. Non può pertanto parlarsi di persecuzione per motivi etnici, ma di pericolo di grave danno, rilevante ai sensi dell’art .14 lett. a) e b) d.lgs. 251/07.
Viene pertanto riconosciuto in favore del ricorrente lo status di protezione sussidiaria.
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