Tribunale di Genova 13 giugno 2020
"Ed allora. Si rinvengono profili di vulnerabilità soggettiva nella fuga da un paese interessato da gravissime violenze di criminalità comune e nell’ottimo percorso integrativo riconosciuto dai responsabili del CAS e da quelli della cooperativa presso la quale lavora, risultando comprovato un eccellente impegno finalizzato all’integrazione nel tessuto sociale e professionale italiano, confermato anche dall’assenza di segnalazioni da parte della Questura.
Un percorso che verrebbe vanificato in caso di rientro forzato nel proprio paese, dal quale è assente da alcuni anni. In tale situazione, se il richiedente tornasse nel suo Paese, incontrerebbe non solo le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale ma si troverebbe in una condizione di specifica ed estrema vulnerabilità, idonea a pregiudicare la sua possibilità di esercitare i diritti fondamentali, legati anche solo alle scelte di vita quotidiana.
Il ricorrente ha inoltre documentato le proprie esperienze lavorative, il proprio impegno nella ricerca di una sistemazione che lo possa rendere economicamente autosufficiente in modo regolare, sussistendo l’obiettiva speranza di una evoluzione in melius con un permesso per motivi di lavoro. La prospettiva che il ricorrente possa richiedere un permesso per motivi di lavoro, giustifica ulteriormente il riconoscimento della protezione umanitaria (cfr: Cass., ord. 7 luglio 2014, n. 15466; Cass. 19 febbraio 2015, n. 3347, cass.civ.sez.I 4455/18, Cass. 6879 del 2011; 4139 del 2011; 24544 del 2011; Cass. ord. 23 maggio 2013, n. 12751). (...)
Va poi ricordata la situazione di particolare insicurezza della regione, prevalentemente dominata dal conflitto del Delta del Niger, produttori di petrolio, dove la popolazione locale non beneficia del reddito dell’industria petrolifera.
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