Tribunale di Genova 18/03/2024
“Seppure quindi la richiedente, in sede di audizione presso la Commissione, non avesse espresso uno specifico timore rispetto alla sua condizione di vittima di tratta, già allora erano emersi indicatori in tal senso, che sono stati confermati anche dall’audizione in questa sede. Tali indicatori sono, tra l’altro, le difficoltà economiche originarie; la crescita in un contesto rurale e privo della figura dei genitori; l’assenza di scolarizzazione; le incongruenze emerse nel corso dell’audizione rispetto al suo percorso migratorio, il debito e la rotta migratoria attraverso la Libia; il doversi prostituire una volta arrivata sul territorio italiano e il dubbio passaggio di affrancazione dall’organizzazione che l’ha trafficata. In merito alla credibilità esterna, il narrato trova pieno riscontro nelle fonti internazionali più accreditate, da cui risulta che le donne, non solo giovani, e le ragazze nigeriane siano soggette a traffico sessuale in tutta Europa, dove sono sottoposte alla prostituzione forzata..
Tra i fattori che maggiormente hanno dato impulso alla tratta di donne nigeriane verso l’Europa figurano le difficoltà economiche e le limitate possibilità di lavoro, a cui si aggiungono una serie di elementi quali l’analfabetismo, la discriminazione e la violenza subite dalle donne nella società nigeriana, il venire meno di sistemi di sostegno, la volontà di voler aiutare i propri familiari, la corruzione e, in una certa misura, le credenze relative ad aspetti della religione africana tradizionale...
In virtù, dunque, dell’essere stata trafficata, del dubbio percorso migratorio, nonché dell’assenza di un contesto familiare, lavorativo e sociale che possa effettivamente sostenerla in patria, il Collegio ritiene che la ricorrente sia da considerarsi vittima di tratta.
Tutto quanto sopra esposto, la storia della ricorrente e il contesto nel paese di origine, a differenza di quanto affermato dalla Commissione Territoriale, rendono verosimile il pericolo, in caso di rientro in patria, di cadere nuovamente vittima di tratta (fenomeno del re-trafficking), di abusi o maltrattamenti, tenuto conto della condizione femminile nel paese di provenienza, notoriamente priva della necessaria tutela per la specificità di genere, e dei conseguenti trattamenti degradanti la dignità della sua persona...
Vanno rammentate le Linee guida dell’UNHCR sulla protezione internazionale, le quali evidenziano come le vittime, o potenziali vittime, della tratta, possono rientrare nella definizione di rifugiato contenuta nell’art. 1(A) della Convenzione del 1951 e potrebbero, pertanto, avere titolo alla protezione internazionale che spetta ai rifugiati.
- Le donne costituiscono un esempio di un sottoinsieme sociale di individui che sono definiti da caratteristiche innate e immutabili e sono spesso trattate in modo diverso rispetto agli uomini. In questo senso esse possono essere considerate un particolare gruppo sociale; - i fattori che possono distinguere le donne come obiettivi dei trafficanti sono generalmente connessi alla loro vulnerabilità in determinati contesti sociali; pertanto alcuni sottoinsiemi di donne possono anche costituire particolari gruppi sociali. Il fatto di appartenere a un simile gruppo sociale potrebbe essere uno dei fattori che contribuisce al timore dell’individuo di essere oggetto di persecuzione, ad esempio di sfruttamento sessuale, come conseguenza dell’essere, o del timore di diventare, vittima di tratta; - coloro che sono stati vittima di tratta in passato potrebbero anche essere considerati come un gruppo sociale basato sulla caratteristica immutabile, comune e storica dell’essere stati vittime di tratta. Una società potrebbe inoltre, in base al contesto, considerare le persone che sono state vittime di tratta come un gruppo riconoscibile all’interno di quella società. La richiedente, pertanto, è sottoposta al rischio specifico, legato all’appartenenza di genere e alla malattia contratta, derivante dall’esteso fenomeno della tratta di esseri umani a fini sessuali nell’area di provenienza, quale atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Deve pertanto accogliersi la domanda principale e riconoscersi all’odierna richiedente lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra.”