Tribunale di Genova 07.03.2025
“Il Collegio si discosta nettamente dalle conclusioni tratte dall’autorità amministrativa, ritenendo che già gli elementi emersi nel corso delle due audizioni sostenute innanzi la Commissione Territoriale e dalla relazione redatta dall’ente antitratta in seno al progetto HTH, poi confermati dal colloquio svolto presso questo Tribunale, siano sufficienti a circostanziare l’esperienza di tratta, nonché a fondare il concreto rischio di subire atti di violenza e/o di retrafficking in caso di rientro. In particolare, pur essendo caduta in diverse contraddizioni, come d’altronde spesso accade nei casi riguardanti persone vittime di tratta e, anzi, rappresentando la mancata linearità del racconto essa stessa un indicatore di tratta, la ricorrente ha saputo descrivere quella che si delinea senza dubbio come un’esperienza di tratta... La stessa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 676/22, ha precisato che “In determinati contesti sociali le vittime di tratta (anziché essere aiutate) possono essere ulteriormente discriminate e sottoposte a vessazioni fondate sulla appartenenza ad un genere ancora più ristretto del genere femminile, e cioè le donne che hanno esercitato il meretricio, pur se costrette o ingannate; la particolare vulnerabilità che consegue all'essere state vittime di tratta comporta uno svantaggio sociale ed economico che in determinati contesti, da ricostruire tramite assunzioni di appropriate e pertinenti informazioni ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. 25/2008, può costituire un ostacolo all'esercizio di diritti fondamentali, quali trovare un lavoro, nutrirsi, mantenere o instaurare relazioni familiari. Se pertanto la persona già vittima di tratta rischia, in caso di rimpatrio, di essere sottoposta ad atti di grave aggressione alla sua incolumità psicofisica alla libertà e dignità, fondati sulla appartenenza al genere femminile, e tra essi il rischio di essere nuovamente sottoposta a tratta, o di essere gravemente discriminata dal contesto sociale, o sottoposta a vessazioni per la particolare vulnerabilità conseguente alla tratta, deve concludersi che sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato” (Cass. Civ. Sez. Sez. 1, Ord. 676/22, cit.). Ciò premesso, osserva il Tribunale che in caso di rimpatrio la richiedente corre un grave rischio di persecuzione per motivi relativi all’appartenenza ad un gruppo sociale. Le “Linee guida UNHCR sulla Protezione Internazionale n.1: La persecuzione di genere nel contesto dell’art. 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati 7 maggio 2002HCR/GIP/02/01” e le “Linee guida UNHCR sulla Protezione Internazionale n.2: Appartenenza a un determinato gruppo sociale ai sensi dell’art.1(A)2 della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati” suggeriscono che, nel caso in cui le donne temano una persecuzione o una severa discriminazione a causa del loro genere, esse possano venire considerate, al fine della determinazione dello status, come membri di un particolare gruppo sociale. Il “fondato timore di persecuzione” per le vittime di tratta può derivare dalle ritorsioni che la vittima o familiari della stessa possono subire da parte dei trafficanti, oppure dalle discriminazioni che può ricevere dalla comunità, o anche per il rischio di retrafficking, come ampiamente descritto nelle COI sopra riportate.”