Vede la videocamera ed esplode di frenetica gioia ed infantile narcisismo. Letteralmente la insegue, ci si piazza davanti offrendo il suo sorriso sdentato eppure perfetto e regala la sua intervista al mio amico giornalista. Pietro ed io siamo appena entrati nella Chiesa delle Gianchette, a Ventimiglia, per verificare e raccontare le condizioni di vita dei profughi all'indomani dall'ennesima tragedia consumatasi in questa terra di confine in cui ha perso la vita un minore sudanese inghiottito dalla corrente, dall'indifferenza (e dal disprezzo) istituzionale.
Davanti all'obiettivo il nostro giovanissimo interlocutore parla sciolto della sua famiglia e del suo viaggio, risponde prontamente e senza riserve a tutte le domande dell'intervistatore sollecitandone di nuove.
Quando gli viene chiesto da dove viene, inizia a raccontare: "il mio paese è l'Africa ma veniamo dal Polo Nord" e circa la durata e le tappe del viaggio spiega: "con la mamma facciamo tantissime gite, il viaggio veramente non ha mai fine." Dice che gli mancano suo papà ed i suoi amici e, quando gli si chiede cosa desidererebbe, risponde, senza esitazione: "una casa".
Poi controlla che le riprese siano venute bene e torna soddisfatto e fiero a giocare con i suoi quattro fratellini. La mamma, palesemente incinta, conferma tutto, ma il Polo Nord in realtà è la Svezia, paese dove sono transitati nel loro infinito pellegrinaggio che dalla Somalia li ha portati prima in Sicilia, poi nel nord Europa ed ora in Liguria.
Nella Chiesa, insieme a loro, oggi sono ospitati oltre ottanta persone.
Tantissimi bambini. Anche molto più piccoli del nostro intervistato che di anni ne ha ben sette.
Stanno tutti qua da qualche giorno, alcuni da settimane, in attesa di rimettere in sesto il corpo e in ordine le idee e decidere poi se riprendere il viaggio o tentare di chiedere asilo in Italia.
C'è chi è arrivato nella chiesa di don Rito dopo l'approdo nelle nostre coste meridionali, chi invece era già faticosamente arrivato in Francia ma è stato respinto senza tanta gentilezza dalla sbrigativa gendarmerie francese che rimanda indietro, come indesiderabili, decine di migranti alla settimana, e c'è chi, in attesa di sconfinare è stato catturato dalla polizia nostrana e rispedito, con una procedura ormai consolidata ma totalmente illogica ed illegale, verso l'Hot Spot di Taranto per essere nuovamente reidentificato. Come se le identificazioni già fatte allo sbarco ed al commissariato di Ventimiglia non fossero valide.
I volontari raccontano che le divise caricano i pullman di profughi almeno due volte alla settimana ma con picchi anche di un viaggio al giorno, per farli riportare coattivamente nel centro di identificazione pugliese, da dove, dopo qualche giorno, gli stessi profughi ripartono faticosamente verso la Liguria, in un eterno insensato e costoso giro dell'oca.
Fuori dalla chiesa, i sassi lungo il fiume Roja, offrono giaciglio scomodo e inospitale ad altre centinaia di profughi. Fino a quando la corrente non ne inghiotte qualcuno.
Altri muoiono per strada, investiti mentre, nel buio della notte e delle gallerie, tentano di varcare una frontiera che non dovrebbe esistere.
Poco distante nel centro "di transito" della Croce Rossa oggi sono registrate 281 persone. In calo, rispetto all'estate scorsa, perché, da qualche mese, all'interno del campo è presente anche la polizia col compito di prelevare le impronte digitali a tutti gli ospiti in arrivo. E cosi si è diffuso il timore, in realtà del tutto infondato, che a seguito di questa nuova identificazione si potrebbe essere espulsi o privati della facoltà di chiedere asilo in altri paesi europei, facoltà purtroppo già irrimediabilmente compromessa, a causa del nefasto Regolamento Dublino, all'atto della prima identificazione effettuata al momento dello sbarco.
Anche queste anime sognano l'Europa ed una casa e tenteranno ancora e ancora di varcare il confine pagando il transito ad ogni prezzo (anche il più indecente) oppure marciando a piedi tra monti, macchine e gallerie. Se saranno fortunati qualche solidale offrirà loro, gratuitamente, un passaggio, per mera umanità, perché, fortunatamente, c'è ancora chi conserva intatta la capacità di vedere le persone prima delle frontiere.
Tante gite, direbbe il nostro giovanissimo intervistato, protetto dal suo invidiabile candore.
da Repubblica, Genova, 18.6.2017