"State tutti bene?" è la domanda che dalla tarda mattinata del 14 agosto continuiamo a formulare e a sentirci porre.
I più fortunati, quelli che non sono stati colpiti direttamente dalla tragedia, vorrebbero poter rispondere di sì "stiamo tutti bene" con l’unico scopo di tranquillizzare chi chiama o scrive messaggi di preoccupata vicinanza, ma nessuno riesce a pronunciare questa frase, se non sentendosi disonesto e sleale. Nessuno più sta bene in questa città, siamo tutti feriti, tutti offesi, tutti increduli, attoniti, sotto shock. Chi non ha subito perdite dirette soffre la sindrome del sopravvissuto, di chi quel ponte un pò tremante l'ha percorso 1000 volte, ma non in quei maledetti minuti e si trova, fatalmente quanto immeritatamente, incolume. "Stiamo tutti bene", ma è una pietosa quanto evidente bugia. Possiamo, al più, rassicurare i nostri interlocutori che non eravamo su quel ponte il 14 agosto alle 11.36, ma non stiamo per niente bene.
Ci scopriamo, come singoli e come comunità, ancora una volta e più di tutte le altre, vulnerabili. Come ad ogni alluvione, in balia del destino e di umane colpe.
E ci scopriamo ancora più impotenti: neppure il fango da spalare ci resta questa volta. Siamo corsi a donare il sangue ma ci è stato risposto da medici desolati e affranti che non serviva perchè tragicamente pochi sono gli scampati al crollo. Medici ed infermieri accorsi da ogni dove avrebbero voluto dei feriti da curare e sono rimasti , come noi, avviliti dall'inutilità.
Scrutiamo il cielo, sosteniamo con lo sguardo gli elicotteri, sperando almeno nel miracolo di una vita strappata dalle macerie, e, ancora una volta, ci terrorizzano nuvole e pioggia.
Non ci resta che informarci spasmodicamente, divorare immagini e commenti. Fino ad arrivare a quello indecente del ministro dell'inferno (come è ormai stato unanimamente soprannominato) che vorrebbe confortare i cittadini in lutto rivelando di aver respinto in mare un centinaio di altre sconosciute creature scampate ad altre tragedie ed in balia delle onde da giorni.
E che mentre un ponte crolla un ministro si vanti di aver chiuso i porti è, anche simbolicamente, agghiacciante. Un insulto alla nostra intelligenza e al nostro dolore.
Noi siamo una città di mare e di porto, crocevia di genti e culture. Non ci facciamo corrompere dall'odio verso altri disperati sconosciuti per lenire ferite peraltro insanabili.
Con noi non attacca la retorica "del bene", della commozione facile, dei finti eroismi ,figuriamoci se ci facciamo sedurre da quella diabolica del razzismo.
Da quel ponte siamo caduti tutti e tutti insieme, senza alcuna distinzione. Famiglie intere, lavoratori, turisti, italiani da generazioni e immigrati "naturalizzati". Bambini. Siamo caduti tutti.
Un ponte unisce anche quando crolla, Non provate a dividerci, a tramutare il nostro dolore in odio.
In rabbia si, ma contro le politiche criminali, le speculazioni inutili e i protagonismi cinici. E sempre contro la pioggia.
Chi non ci conosce, chi non comprende il nostro silenzioso sconforto, chi non conosce il nostro naturale riserbo, chi non sa distinguerlo da parsimonia o aridità, chi non ha ammirata attenzione per la nostra orgogliosa compostezza, la nostra innata diffidenza verso le parole eccessive o sguaiate, verso l'ostentazione e lo scialaquio di emozioni e sentimenti che capiamo preziosi e pertanto con sapienza antica, vorremmo gelosamente proteggere da asperità e nemici, chi non sa e non riesce a capire, taccia.
Siamo fatti di monti, mare, vento di scogliera e pioggia, tantissima pioggia, perchè a Genova non piove, diluvia. Non ci lasciamo certo confondere da parole divisive e inutili vomitate a favore di telecamera o di tastiera.
Noi siamo in lutto, camminiamo dolenti con lo sguardo perso, scuotiamo la testa mormorando “non ci posso credere”, parliamo ancora più piano e da martedì , non credo di aver sentito più nessuno ridere in questa città che mai come in questi giorni sentiamo dolorosamente nostra.