La mano sul fuoco

So che il necessario distacco professionale dovrebbe impedire di utilizzare per i clienti l’espressione “ci metterei la mano sul fuoco”, che pure nel suo caso è quella che più mi viene spontanea. Lo conosco da almeno due lustri, ho visto negli anni le sue figlie crescere, ho letto i loro temi ed esaminato le loro pagelle. Conosco nel dettaglio i suoi studi , i percorsi della sua carriera, i suoi redditi familiari e le innumerevoli attività di volontariato.



So quanto ama il nostro Paese dove ha vissuto ed è cresciuto fino a diventare insieme ai fratelli un affermato professionista.
Ho sperimentato la sua correttezza e apprezzato la sua laicità.
Ho dovuto fare le pulci su qualsiasi sua attività. E lui non ha opposto nessuna resistenza: mi ha mostrato tutte le sue carte, ha frugato davanti a me ad alta voce nella sua memoria, mi ha confidato le speranze per le sue figlie e raccontato le loro indignate preoccupazioni.

Un rapporto il nostro, come spesso accade tra avvocato e assistito, decisamente impari: io ho chiesto, ottenuto e letto gli atti pubblici e privati che registrano e connotano “burocraticamente” la sua esistenza, ho ascoltato le sue confidenze, i suoi ricordi e le sue aspirazioni; lui di me non sa quasi nulla, conosce solo la mia professione e confida, spero, nella mia determinazione

Si era rivolto a me più di dieci anni fa per capire come mai il nostro e ormai suo Paese si rifiutasse di conferirgli l'agognata cittadinanza italiana pur possedendo tutti requisiti previsti dalla nostra obsoleta legge: redditi più che dignitosi, titolarità di permesso di soggiorno, residenza da oltre 10 anni e “illibatezza” penale in tutti i paesi in cui ha messo piede, compreso il nostro. Come se non bastasse una marea di testimonianze di buona e irreprensibile condotta.

Poi arriva il decreto di diniego del Ministero, uno schiaffo in faccia: “dall’informativa esperita è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica”

Quale informativa? Scritta da chi? Quale contiguità? Quali movimenti? Quali scopi?

Non è dato conoscere la risposta a nessuna di queste domande seppure formulate in tutte le sedi.

La pubblica amministrazione si trincera dietro il segreto di Stato e altro non dice per i successivi 7 anni.

Per scrollare via da di lui quell'indecente ombra di “pericolosità” presentiamo istanze e per impugnare il diniego depositiamo un ricorso insieme a tutti i certificati penali rinnovati nel corso degli anni nei quali a grandi lettere campeggia la scritta "nulla", perché nulla in effetti risulta a suo carico, neppure una minima segnalazione o una semplice multa.

E allora come è possibile, che per lui, come per altri, si possa insinuare per decreto una pericolosità per la sicurezza nazionale senza nessuna evidenza che consenta all'accusato di replicare e esercitare il suo diritto di difesa?

Sono passati tanti anni e siamo in attesa della decisione, lui mi dice che è avvilito di non potersi difendere da un'accusa tanto vaga quanto infamante, le sue figlie vorrebbero parlare con “le autorità” per spiegare chi è il loro padre e con quali valori le ha cresciute, lui vorrebbe poter raccontare a chi (ancora ignoto) ha mosso dubbi sulla sua irreprensibilità, sulla sua condotta, vorrebbe capire e non dover vivere con l'angoscia di un'incolpevole vergogna.

Gli chiedo se non è stanco di lottare, penso, muta e vigliacca, che si può vivere anche senza il passaporto italiano, che lui è cittadino comunque anche senza un pezzo di carta che glielo riconosca, mi legge nel pensiero e scuote fieramente la testa: lui crede nella nostra democrazia, anche quando sembra cosi poco trasparente, ama la Costituzione e si fida della giustizia. Lui si che sarebbe un cittadino esemplare.

La Repubblica di Genova 5 luglio 2020