Un mio carissimo amico mesi fa mi ha consigliato o, più precisamente, ammonito: “meglio è se per un po’ non esprimi i tuoi pensieri in pubblico o comunque a voce alta”. Visto che, non a caso, il mio amico è un ottimo psichiatra ho pensato bene di ascoltarlo. E così anche queste righe sono rimaste bianche per molto tempo. Mi sono sentita non solo in minoranza, ma inadeguata a capire e a farmi capire e a tratti, a tratti spessi, vuota. Con quale diritto parlare di una guerra se non sotto il fragore delle sue bombe o tra le macerie di case, teatri, ospedali ed esistenze? O peggio, con quale ipocrita indifferenza tentare di ignorarla? Alla fine l’onda di dolore e di indignazione, lungi dal soffocarsi, inesorabile cresce e tracima. Allora, per evitare la gastrite, ho provato, con cautela e a piccole dosi, ad esternare pensieri e soprattutto dubbi. E ho scoperto che, passate le prime settimane della tifoseria da stadio sugli spalti di una guerra così vicina, le persone, almeno quelle che mi capita di frequentare, hanno molti più quesiti che certezze. E vorrebbero capire.
Un buon modo per capire da sempre e’ parlare con i diretti interessati e studiare le norme per scoprire con amara meraviglia che i primi spesso non trovano asilo nelle seconde.
Quando ad esempio si prova a raccontare ai vari interlocutori (violando i moniti dell’amico) che la direttiva europea attualmente applicata per dare immediata protezione temporanea ai profughi ucraini esiste dal 2001 ma, pur non essendo mancate da allora le guerre né i “massicci afflussi di sfollati”, non aveva mai trovato fino ad ora alcuna attuazione.
Stupisce e indigna che questo tipo di protezione venga accordata solo a chi è fuggito dall’invasione russa a partire dal 24 febbraio (escludendo quindi quelle famiglie previdenti che, respirando una brutta aria, si erano dati alla fuga prima di tale data).
E poi, ancora, è inconcepibile che la possibilità di accedere alla protezione temporanea (vale a dire ad un permesso di soggiorno rilasciato dalla questura insieme al codice fiscale in tempi brevissimi e non subordinato alla domanda di asilo) venga negata per legge ai dissidenti russi (che rischiamo a causa della loro obiezione di coscienza l’applicazione della legge marziale) e di tutte le persone che in Ucraina ci vivevano ma non posseggono un passaporto ucraino.
Tutti gli studenti stranieri, i richiedenti asilo, coloro che non vantano un titolo di soggiorno permanente in Ucraina, pur scappando dalle stesse bombe, non hanno diritto alla protezione temporanea riservata ai purosangue ucraini. Una discriminazione feroce e insensata.
E intanto nel mare, nei lager libici e nelle rotte migratorie continuano a morire persone in fuga anch’esse da violenze insopportabili, ma non considerate, evidentemente, dai nostri legislatori italiani ed europei, degne di alcuna tutela.
Insomma se non sei ucraino, se non hai il passaporto giusto in tasca, se non sei bianco, non sei considerato un “vero profugo” e puoi continuare a morire di frontiera.
E’ intollerabile.
Eppure questo drammatico conflitto, anzi, la protezione che si e’ deciso di accordare ad alcune delle sue vittime, avrebbe potuto essere almeno un’occasione per rivedere il sistema di asilo e di accoglienza della fortezza Europa. L’attuazione, agognata da 21 anni, della direttiva Europea 55/2001 avrebbe potuto sancire finalmente il diritto ad ottenere protezione temporanea per altri sfollati non meno meritevoli.
Si è scelto invece ancora una volta di escludere.
Formulare questi pensieri (o peggio esprimerli a voce alta) non vuol dire, evidentemente, voler negare protezione agli sfollati ucraini, ma pretendere che la si estenda anche a profughi meno “in voga” ma altrettanto “meritevoli”.
Perché nessuno può arrogarsi la pretesa di scegliere a chi riconoscere i diritti, se no li si chiama privilegi ed hanno tutto un altro valore e un altro sapore. Sanno di esclusione, discriminazione e truffa.