Bella serata giovedì 18: il tema era complesso e poco allegro: sicurezza (poca) sul lavoro, amianto e malattie professionali, ma i relatori appassionati e incredibilmente chiari hanno reso l'incontro piacevole e istruttivo. Graziano Cetara (giornalista de "Il Secolo XIX") ha dato il "la" ricordando la sensazione di "vorrei ma non posso" che aleggia su tutti (datori di lavoro, ispettori e anche lavoratori) dopo ogni infortunio sul lavoro.
Aris Capra della Cgil ha chiarito alcuni dati: per ogni morto sul lavoro, dal 1999 al 2008, in Italia si sono seriamente infortunati più di 700 lavoratori; anzi, nei dieci anni considerati, l’ultimo ha raggiunto il punto massimo di 781 infortuni gravi per ogni infortunio mortale. La Liguria e Genova in particolare hanno una tendenza superiore ai dati nazionali, 891 lavoratori gravemente infortunati, questo in tutti gli anni considerati.
Ma se le regole esistono, perché ci si infortuna così frequentemente? La risposta è persino banale: semplicemente perché le regole non vengono rispettate. L’impianto prevenzionistico attuale prevede che vengano analizzate le occasioni di rischio prima che queste si manifestino in un incidente, in un infortunio. D’altra parte il termine stesso “prevenzione” vuol dire pre-venire, arrivare prima, intervenire con misure atte a far sì che l’evento non si manifesti. La logica e la tecnica ormai consolidata prevedono che il datore di lavoro affronti le singole occasioni di infortunarsi analizzandole per almeno un paio di aspetti: quanto sia probabile che si manifestino e quale sia la gravità dell’evento qualora esso avvenga.
È su questa prima analisi che molti datori di lavoro incominciano a barare, a non rispettare le regole. È infatti estremamente improbabile che proprio in quella azienda avvenga un infortunio. Certo, questa valutazione dei rischi, dice la norma, è a disposizione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza che ne può verificare la veridicità. Ma nelle piccole imprese è una figura che non è presente, per le condizioni oggettive di dimensione e di capacità contrattuale praticamente inesistente da parte dei pochi addetti. Quindi nessuno la verificherà. Ma anche se fosse, questo lavoratore dovrebbe avere le competenze necessarie a un'analisi approfondita di tale materiale, che spesso non ha. Ma per maggiore sicurezza il Ministro Sacconi, con le modifiche estive alle norme da lui operate, ha fatto sì che i lavoratori non possano farne verificare la veridicità da propri consulenti, esperti di parte sindacali o meno che siano. È stata infatti tassativamente vietata la consultazione della documentazione all’esterno dell'azienda, proprio per impedire che i falsi e le omissioni vengano alla luce, giustificando tale impedimento con la necessità di salvaguardare il segreto industriale. Argomentazione evidentemente risibile che porta a risultati assolutamente scontati. In effetti nessuno farà nulla per verificare il livello di prevenzione in azienda prima che una qualche istruttoria parta a seguito di un grave incidente.
Altro motivo di sprone per i datori di lavoro a rispettare le regole potrebbe essere la paura di un controllo da parte di un funzionario di un Organo di Vigilanza. Ma, si sa, sono quattro gatti, quindi per il datore di lavoro in questione, quello di quell’attività nella quale le regole non vengono rispettate, l’esistenza di un Organo di Vigilanza non si manifesta come un deterrente alla riduzione dei rischi. Valuta infatti improbabile che proprio da lui, nella sua impresa, possa avvenire un controllo.
Ma poniamo che per un miracolo dei numeri primi ciò avvenga. Il Ministro Sacconi, con le modifiche che ha apportato al Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, il D.Lgs. 81/08, ha di fatto ridotto talmente le sanzioni a carico di chi non rispetta le regole da rendere tutto sommato un affare il non rispettarle. Ha drasticamente ridotto sia le figure oggetto delle sanzioni (preposti, dirigenti, datori stessi) che la dimensione delle stesse.
Quindi un datore di lavoro scorretto di una piccola impresa potrà valutare che sarà molto mprobabile che si manifesti proprio da lui un infortunio, estremamente improbabile che qualcuno venga a controllarlo e che comunque, qualora un controllo avvenga, l’eventuale sanzione a lui comminabile sarà di limitatissimo impegno economico.
La carenza di offerta di lavoro, la cassa integrazione a livelli superiori alla memoria storica, quindi la scarsissima o inesistente capacità contrattuale per la salvaguardia del posto di lavoro stesso, fanno sì che oggettivamente la qualità del lavoro, la sicurezza e l’igiene, la prevenzione di infortuni e malattie professionali, siano considerati, anche se non scientemente, come obiettivi secondari dai lavoratori stessi, ciò soprattutto nelle piccole imprese.
Facile parlare di “percezione del rischio”, di atteggiamenti di “machismo”, di comportamenti abitudinari pericolosi, senza considerare che ciò avviene spesso da parte di lavoratori soggetti a pressioni a volte esplicitamente ricattatorie (o così o te ne vai, perché sei atipico, a termine, senza contratto, extracomunitario, non hai l’articolo 18, sei clandestino), tipiche di ambienti di lavoro nei quali il posto stesso è legato a filo doppio con l’esposizione a rischi. Posti di lavoro nei quali il budget è fortemente indirizzato a una riduzione dei costi per la sicurezza, spesso a favore semplicemente del "restare sul mercato". Ambienti di lavoro nei quali poco o niente è dato a sapere e tutto viene minimizzato, banalizzato. E spesso in concorrenza con altri disperati di piccole imprese dello stesso tipo.
Ma in questa logica l’Ente Pubblico non è da meno. Pensiamo alle strutture dello Stato, alle scuole spesso fatiscenti, alla loro improbabile asismicità, alle uscite di sicurezza chiuse con catenacci e lucchetti, alla riduzione di personale e al turn-over inesistente ovunque, anche laddove le persone che mancano dovrebbero occuparsi non solo della propria ma anche della altrui salvaguardia, come Organi di Vigilanza, Polizia di Stato, gli Enti di controllo tutti.
Torniamo ai numeri e alle probabilità: in Italia nel corso del 2010 tutti i lavoratori nel loro insieme avranno una probabilità su seimila di avere un incidente, poco meno di un migliaio di loro morirà di infortunio, più di duecentomila manifesteranno una grave invalidità, poco meno di trentamila una invalidità molto grave e sette-ottomila avranno un risultato probabilmente di una gravità devastante e assoluta.
Come devastanti sono le malattie professionali e in particolare il mesotelioma provocato dall'amianto. In Liguria ne sono stati registrati 2200 e tutti dovuti all'amianto. Questi dati li abbiamo grazie a un gruppo di ricerca che lavora presso il Registro nazionale mesotelioma, di cui il dott. Valero Gennaro è responsabile in Liguria. Parlando di ricerca il dott. Gennaro ci ha ricordato quanto questa in campo medico sia fondamentale anche e soprattutto per capire le cause delle malattie. E quindi le persone che compiono queste preziose indagini dovrebbero poter lavorare con serenità e non come precari con contratti a scadenza.
L'avv. Adolfo Biolè ci ha raccontato le vicende processuali che stanno intraprendendo i lavoratori che sono stai esposti al rischio di amianto e che oggi, di colpo, si vedono revocate le pensioni Inail. Si parla finora di centinaia di lavoratori.
E parlando di lavoratori non potevamo non fare un accenno ai lavoratori stranieri che sono i più ricattabili e quindi i più sfruttati perché dal lavoro non dipende solo il loro reddito ma la loro stessa esistenza legale: difatti lo straniero non può stare senza avere in mano un contratto di lavoro per più di sei mesi, altrimenti perde il permesso di soggiorno. E così si spiegano gli schiavi di Rosarno e non solo...
Cosa fare? Questa è la domanda che si ripete sempre alla fine dei nostri incontri.
Intanto creare un gruppo di lavoro: gli esperti che sedevano allo stesso tavolo giovedì (e che si sono subito "piaciuti") non avevano mai avuto l'opportunità che hanno avuto l'altra sera, cioè quella di confrontarsi e scambiare dati. Lo scambio di conoscenze per chi lavora nelle stesso settore è fondamentale per cui sarebbe auspicabile che queste belle "teste" che si sono incontrate al dibattito potessero lavorare insieme.
E poi è assolutamente fondamentale fornire una buona informazione: le cose che abbiamo ascoltato giovedì nessun giornale le aveva mai scritte, mai di sicuro con questa chiarezza. Eppure si tratta di temi fondamentali.
E poi, tra le cose da fare non si può non parlare dello sciopero del primo marzo dei e con i migranti: che è un buon modo per ricordare che la nostra Repubblica si fonda sul Lavoro e non sulla schiavitù.