Sentenza TAR Liguria 24.08.2022

“Devono trovare applicazione nel caso di specie i principi sanciti dalla sentenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 12 novembre 2019, C 233/18, secondo cui l’art. 20,
paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE, alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che “uno Stato membro non può
prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni
delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione
consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi
dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario,
dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più
elementari. L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in
qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare
quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana”
 

Tribunale di Genova 27.07.2022

“La situazione del ricorrente impone invece il riconoscimento del diritto alla protezione per motivi

umanitari, dovendosi tenere conto nel caso in esame:
A) sotto il profilo oggettivo, delle condizioni di invivibilità dell’area di provenienza. Al riguardo,
deve darsi atto della grave crisi ambientale che affligge tutta l’area del Delta del Niger, di cui fa
parte anche il Delta State...
Qui è presente l’olimpo del mercato del petrolio internazionale: Shell, Totale, Eni, Repsol, Bp,
Chevron, Exxon Mobile, sono solo alcuni dei grandi nomi del settore operanti in quest’area...
Un’immensa ricchezza di riserve che non corrisponde però ad altrettanto immensi vantaggi per la
popolazione locale. Al contrario, quest’ultima vede soltanto briciole dall’attività estrattiva e, per
giunta, deve anche convivere con un inquinamento ambientale sempre più evidente e deleterio
Il Delta, dagli anni ’50, assiste ad un progressivo deterioramento del proprio ecosistema, con
ricadute tragiche per la popolazione dovuto non solo ai giacimenti, ma anche alle condutture
vecchie ed inadeguate, alle dispersioni di greggio nel sottosuolo, alle emissioni di gas nell’aria.
Malattie alla pelle, leucemie, tumori, un’aspettativa di vita più bassa rispetto al resto del paese, sono
soltanto alcune delle più gravi conseguenze. Già nel 2011 il rapporto dell’UNEP, evidenziava come
i nigeriani residenti nell’area del delta del Niger bevano acqua contaminata da benzene e che molti
pozzi sarebbero ormai del tutto inquinati, ipotizzando che per bonificare l’area sarebbero necessari
dai 25 ai 30 anni. Le attività associate al settore petrolifero hanno avuto e continuano ad avere
significativi effetti negativi sull’atmosfera, sul suolo, sulle acque superficiali e sotterranee,
sull’ambiente marino e sugli ecosistemi terrestri. Lo smaltimento degli idrocarburi del petrolio e
degli altri rifiuti derivati dalla produzione dello stesso causano inquinamento ambientale, con effetti
dannosi per la salute umana, problemi socioeconomici e degrado nei nove Stati produttori di
petrolio situati nella regione del Delta del Niger. I problemi associati alla ricerca ed alla produzione
del petrolio includono fuoriuscite di petrolio, combustione di gas, gas metano liberato nell’aria
anche senza combustione, discariche di rifiuti derivati dalla produzione di petrolio, contaminazione
di sorgenti d’acqua, contaminazione del suolo, distruzione dei terreni agricoli e dell’ambiente
marino.... Un approfondimento condotto nelle comunità degli stati Ondo, Delta e Rivers rivela come
i conflitti legati al petrolio abbiano in realtà numerose sfaccettature. Il conflitto iniziale tra le
comunità petrolifere, le compagnie petrolifere ed il governo nigeriano si è intensificato fino a
diventare un conflitto all'interno e tra le comunità petrolifere stesse. Le persone sono messe l'una
contro l'altra nella ricerca di benefici o di mezzi di sussistenza legati al petrolio. I benefici derivanti
dal petrolio possono assumere la forma di contratti per la pulizia delle fuoriuscite di petrolio,
sorveglianza degli oleodotti e di progetti di sviluppo. Alcuni attori locali controllano i pochi
benefici che arrivano alle comunità dalle compagnie petrolifere e dal governo. Ma la maggioranza
della popolazione è emarginata e cerca modi per combattere la propria esclusione da questi benefici
e per poter sopravvivere. Le comunità locali escluse da questi benefici tendono a devastare
ulteriormente l'ambiente già fragile e le risorse marine compiendo atti di vandalismo degli oleodotti.
Altre invece sottraggono il petrolio e lo raffinano artigianalmente per venderlo al mercato nero.
Queste attività provocano un circolo vizioso di degrado ambientale, povertà e conflitti.
B) sotto il profilo soggettivo, del contesto in cui deve essere inquadrata la sua vicenda personale ed
in particolare del durissimo percorso migratorio. Il richiedente lascia il suo Paese e i suoi affetti
dopo aver appreso di aver perso la sua compagna e il figlio che lei aspettava, e già questo potrebbe
giustificare uno stato di estrema vulnerabilità. La ricerca di una vita migliore, in ogni caso, anche se
fosse dovuta solamente a motivi personali o economici, come poi specificato durante l’audizione
davanti al Giudice, lo porta fino in Libia, all’età di 24 anni, dove, appena arrivato a Saba, viene
rinchiuso in un carcere. Solo davanti al Giudice riesce a raccontare quanto subito...
A tal proposito è purtroppo tristemente noto che le condizioni in cui vivono i migranti in Libia siano
a dir poco inumane. E’ altresì evidente che le sofferenze inflitte rientrino nell’accezione di tortura e
di trattamento degradante secondo le convenzioni internazionali e la Corte EDU . Trattasi di
sofferenze che vanno per ciò solo valutate ai fini della protezione umanitaria...
Va altresì considerato che il ricorrente, una volta giunto in Italia nel 2017, è stato inserito in un CAS
gestito dalla Cooperativa Caribù, che, come è noto, successivamente è stato chiusonel luglio del
2019 per truffa ed altri reati legati alla gestione dei migranti... La notizia è riportata anche online
ove si legge: “Fra i metodi per risparmiare – aggiunge il procuratore – vi erano sovrafatturazioni e
la dichiarazione di un numero di ospiti superiore al reale. Inoltre, si risparmiava sui vari servizi
come la pulizia, si sfruttava il lavoro dei migranti stessi e abbiamo portato a galla trattamenti fisici e
psichici inaccettabili. Il Gip dice che gli ospiti ‘venivano trattati come bestie”.... È in questo
contesto che deve tenersi conto del suo sforzo nel percorso di inserimento ed integrazione nel
tessuto economico, sociale e culturale italiano... Tale percorso, quindi, verrebbe vanificato in caso di
rientro forzato in Nigeria. In tale situazione, il suo rimpatrio costituirebbe pertanto di per sé una
condizione degradante, specie se parametrata alle difficili condizioni di partenza, al percorso
migratorio ed all’attuale situazione della zona di provenienza.”