Tribunale di Genova, ord. 15 settembre 2017

"Ritiene questo Tribunale che la particolare vulnerabilità, che è uno degli elementi su cui si può fondare la concessione della protezione umanitaria, si può evincere proprio dalla situazione complessiva in cui si trova la ricorrente.
La stessa ha vissuto ininterrottamente in Italia dal 2001 al 2014 con regolare permesso di soggiorno e svolgendo regolari lavori con cui si è mantenuta: anche i suoi principali affetti (la figlia e il nipote che vive in Italia e frequenta una scuola italiana) sono in Italia. Di fatto la ricorrente avrebbe avuto diritto a richiedere, nel 2014, il permesso di lungo soggiorno, circostanza che evidenzia come il centro della sua vita si sia spostato in Italia.
Non si può parlare indubbiamente di totale eradicazione dal paese di origine della ricorrente ma è altrettanto evidente che il suo ritorno forzato in Ucraina la porrebbe in una situazione di particolare vulnerabilità sia perché di fatto le sue capacità lavorative si sono negli ultimi 15 anni esplicate in Italia (e in Ucraina non ha analoghe possibilità), sia perché indubbiamente il contesto del paese, essendo di lingua russa, le renderebbe particolarmente difficile la permanenza anche se non si può parlare proprio di persecuzione per motivi di etnia, sia perché la allontanerebbe dai suoi affetti principali ponendola in una situazione di isolamento e lontananza rispetto ai suoi cari.

 Tribunale di Genova, ord. 13 settembre 2017 "Si deve invece accogliere la richiesta di protezione umanitaria, formulata in via subordinata, considerati da un lato la predetta attuale difficilissima situazione socio-politica della Nigeria nonchè le allegate, non buone condizioni di salute del ricorrente, il quale come da documentazione prodotta in udienza risulta affetto da epatite cronica HBV correlata (cfr. doc. n. 12) nonché sta seguendo una terapia tubercolotica - Nicozid e Benadon - a seguito dell’esito positivo del test di Mantoux"

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Tribunale di Genova, 11 settembre 2017

"[...] nel caso di specie, la pena di morte e, dunque, la persecuzione che si voleva infliggere al ricorrente, come osservato dal difensore nell'atto introduttivo del giudizio, appare strettamente legata a motivi etnici e religiosi, atteso che il ----, contrariamente alle aspettative del “sovrano”, era risultato figlio biologico di un fedele musulmano, originario della comunità di Jos (mentre, come il richiedente protezione ha spiegato, il gruppo etnico del suo villaggio era “esan”, cristiano e pagano in contrapposizione agli “hausa” di religione musulmana). In altre parole, ricorrono nel caso in esame gli estremi dell'art. 8 del D. Leg.vo n. 251/2007, ove si precisa che i motivi delle persecuzione (descritta nel precedente art. 7 cui può farsi integrale rinvio) possono essere ricondotti anche alla “religione” e/o alla “nazionalità”, intesa quest'ultima non solo come “cittadinanza” ma anche come “appartenenza ad un gruppo caratterizzato da un'identità culturale, etnica o linguistica”.

                                                                                                                                                                                                             Tribunale di Genova, 5 settembre 2017

Ritiene, peraltro, questo Ufficio che sussistano, ai sensi dell'art. 32, comma 3, del D. Leg.vo n. 25/2008, gli estremi per il riconoscimento della protezione umanitaria, tanto più che siamo di fronte ad un giovane che, a quanto è stato appurato in questa sede, è giunto in Italia ancora da minorenne.
In ogni caso, appare assolutamente verosimile che lo _____ abbia lasciato il suo paese (dopo essere stato vittima di uno scontro a fuoco) a causa della grave situazione di violazione dei diritti umani imputabili alle iniziative del menzionato dittatore. In proposito, dai siti internet più accreditati (Ministero degli Esteri italiano, Amnesty International, Peace Reporter) si ricava che, durante gli anni della dittatura, in Gambia si verificavano “sparizioni forzate”, “detenzioni arbitrarie”, “attacchi alla libertà di espressione”, il tutto “in un clima di impunità” (si v. sul punto Trib. Genova, ord. 13 maggio 2016, Est. Di Lazzaro , n. R.G. 15255/2015 R.G.).

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